REINCANTAMENTO. Episodio 3. La farmacologia di Stiegler
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«Internet è bifronte, offre nuove e assolutamente straordinarie possibilità di individuazione, e, allo stesso tempo, minaccia l’individuazione nei suoi stessi principi»
Bentornate amiche, bentornati amici, bentornat* amic*. Nella puntata di oggi di REINCANTAMENTO, parleremo del lavoro di Bernard Stiegler, filosofo e attivista francese. Nella nostra riflessione il lavoro di Stiegler è fondamentale: abbiamo davanti uno dei pensatori moderni più attivi nell’ambito della tecnologia nonché attivista e animatore di diverse attività, istituzionali e non, volte ad applicare alcuni tratti del suo pensiero. REINCANTAMENTO vuole anche essere un racconto di storie reali e di pratiche e data la natura anche pratica del lavoro di Stiegler, è inevitabile per noi finire nell’orbita del suo ampio lavoro, che attraversa la Francia da più di dieci anni. Come accennato nell’Episodio 0, il punto di contatto tra chi scrive e Stiegler è avvenuto attraverso un piccolo volume, pubblicato nel 2006 e aggiornato nel 2010, da cui nasce il nome di questa rubrica: ‘Réenchanter le monde: la valeur esprit contre le populisme industriel’.
Il Reincantamento del titolo si riferisce ad un evento dallo stesso nome promosso nel 2005 da MEDEF, la Confindustria francese (!): con questo nome si voleva evocare una nuova epoca di investimenti nel settore del terziario, in particolare nelle ‘industrie della conoscenza’ legate alle nuove tecnologie. Lo strano nome di questo evento del MEDEF ricorda l’idea opposta del ‘disincanto’, esposta dal padre della sociologia Max Weber. Weber parlava di disincanto in riferimento allo smarrimento e alla perdita di valore che ha attraversato il mondo da quando è stato ingabbiato dietro alle “fredde sbarre della razionalità” e del progresso moderno. Davanti al curioso nome dell’ evento del MEDEF, Stiegler inizia la sua riflessione su questi processi, evocando anche le parole del poeta francese Paul Valery, che nel 1939, all’alba della tragedia della seconda guerra mondiale notava un ‘travaglio dello spirito’ che pesava sull’Europa degli anni ’30. Anche Valery era sensibile alla perdita di senso che attraversava il mondo e che le promesse del progresso e della tecnologia non riuscivano a sostituire. Gli atti orribili della guerra, perpetrati attraverso potenti innovazioni tecnologiche (dalla bomba atomica ai radar), diedero ragione a Valery e al suo senso di smarrimento.
L’opposizione tra la Confindustria francese e il poeta smarrito apre il lavoro di Stiegler. In questa polarità, REINCANTAMENTO vede una similitudine con le due metafisiche di Campagna, analizzate negli episodi precedenti. Da una parte, l’uso delle ultime tecnologie digitiali (le industrie della conoscenza), incarnato dalla Confindustria francese, prepara un mondo organizzato secondo i principi del mercato, del consumo e del controllo. Dall’altra parte, Stiegler e Valery parlano di una perdita di spirito —nozione simile all’ineffabile di cui parla Campagna — e della necessità di formare nuovi valori, da costruire anche attraverso lo sviluppo tecnologico. Il valore dell’esistenza potrebbe fondare una rinnovata trasformazione tecnica? È possibile trattare la Tecnica con Magia? In questa ipotesi, si tratterebbe di organizzare un re-incantamento dei dispositivi, non secondo la logica di comodo del marketing o quella securitaria della sorveglianza, ma attraverso un effettivo aumento della nostra conoscenza, un’intensificazione delle relazioni umane e un miglioramento delle condizioni materiali. Tutto ciò si può pensare solo nella consapevolezza metafisica della sostanziale irriducibilità del mondo al dato e quindi ‘incantando’ la tecnologia attraverso la consapevolezza magica descritta da Campagna. L’intero lavoro di Bernard Stiegler ci appare come un tentativo di compiere un’operazione simile: cerchiamo allora di capire meglio alcune idee del francese e come possano dialogare con quelle di Federico Campagna.
Partiamo allora da un polo. Le teorie finora esposte condividono su un punto: sono le tecnologie moderne ad aver causato il disincanto del mondo. La perdita di senso collettivo è causata dallo stringersi delle fredde gabbie della razionalità tecnica sull’esistente. In questa prospettiva, il progresso e l’innovazione tecnologica sembrerebbero forze negative, responsabili dell’oblio e del tramonto del mondo. Nella filosofia di Bernard Stiegler troviamo una concezione differente della tecnologia, che eredita le riflessioni di tanto pensiero francese del secondo 1900 — autori come Jacques Derrida, Gilles Deleuze e Gilbert Simondon.
Proprio Derrida, ne La farmacia di Platone, riprende il termine phàrmakon, usato dal filosofo greco per parlare della scrittura, la grande innovazione del suo tempo. Il termine compare nel Fedro, dialogo platonico, laddove il personaggio di Socrate espone il mito di Teuth, divinità di origine egizia. Seguiamo l’esposizione platonica: il dio Teuth, inventore della scrittura, si presenta al re egizio Thamus per celebrare la sua invenzione e convincere il sovrano della sua utilità. Ma il re si mostra scettico, anzi condanna la scrittura come un phàrmakon in quanto è copia della voce e dunque ha in sé il rischio di allontanarsi dalla verità, facendole perdere il senso vero e originario. La scrittura si distanzia dall’origine del messaggio che è l’interiorità, portatrice di un discorso immediato e vivo. Davanti all’esposizione platonica, Derrida individua un’ambiguità.
Infatti, la parola phàrmakon si può tradurre sia come “veleno” sia come “medicina”. Qualcosa che può valere sia da veleno sia da rimedio è qualcosa che per sua natura è ambivalente e ubiquo. Della scrittura Platone dice che è un phàrmakon perché essa indebolisce la stessa memoria grazie alla sua comodità e semplicità e permette la riproduzione menzognera di messaggia. E tuttavia, la scrittura fornisce proprio un nuovo supporto di memoria per l’essere umano, aumentandone le capacità. Il pensiero è spurio: senza il supporto mnemonico fornito dalla scrittura nessuno dei successi della razionalità umana sarebbe stato possibile, dall’algebra alla letteratura.
“L’uso della tecnologia ci fa bene o male?” a questa domanda, solo all’apparenza banale, il Platone di Derrida risponderebbe: “entrambe le cose”. Dunque, la tecnologia dipende dalle sue applicazioni e non ha una natura di per sé buona o cattiva. Non sembra una grande scoperta quella di Derrida. Ma il colpo da maestro deve ancora arrivare. Nell’idea platonica, la scrittura ha infatti un valore negativo e secondario rispetto ad una forma di comunicazione superiore: la voce. La voce incarna la purezza dell’intelletto, è il mezzo di espressione umano per eccellenza ed è quindi superiore rispetto a tutto ciò che da essa deriva come la scrittura. Il genio di Derrida ribalta Platone contro sé stesso. La nozione di phàrmakon è usata per attaccare ogni presunta “purezza” del pensiero (e dell’umano stesso). Il puro logos, l’intelletto umano non si sviluppa mai “naturalmente”: il pensiero razionale è sempre contaminato dall’esteriorità della tecnica, in questo caso la scrittura e le modifiche che porta nei ragionamenti umani. Quindi, la tecnica non proviene dal mondo esterno, non realizza un decadimento rispetto alla purezza dell’interiorità umana espressa dalla voce: essa è co-originaria allo sviluppo umano e lo influenza da sempre. La tecnologia non solo non è né buona né cattiva ma essa è anche parte del nostro destino: siamo creature tecnologiche sin dall’inizio della nostra storia e la scrittura (ma potremmo anche citare il fuoco) né è un esempio. Non c’è nulla di innaturale nella tecnologia né di estraneo rispetto ad una fantomatica essenza originaria: non è necessario fantasticare su un ritorno alla natura senza tecnologia, proprio perché la tecnologia c’è già da sempre, persino nella vita dei campi (Derrida parla anche di questo). Piuttosto, il punto è quello di progettare una tecnica che permetta lo sviluppo dell’essere umano e del mondo invece di una sottomissione ai suoi principi di calcolo.
Ritornando dai miti egizi al nostro mondo, questa visione è espressa anche dal genio rivoluzionario di Marx. All’interno di un sistema economico capitalistico, si tratta di liberare il potenziale tecnologico dal puro valore di scambio che esso assume sul mercato. Lo stesso Marx considera possibile un uso emancipatorio della tecnologia e vi accenna nei Grundrisse. Pur considerando quest’ultima la principale forma di sussunzione del lavoro vivo (il lavoro umano), essa non esaurisce il suo potenziale a questo (misero) scopo. L’esistenza della macchina non è: «identica con la sua esistenza come capitale… e, di conseguenza, la sussunzione [della tecnologia] sotto la relazione sociale del capitale non è la forma più appropriata o definitiva di relazione sociale di produzione […]». C’è un mondo tecnologico da creare e pensare oltre i limiti del presente sistema economico. Pensiamo ai potenti algoritmi utilizzati dai giganti del tech, come Amazon o Google, per indirizzare i nostri gusti e aumentare i propri introiti, la cui maggioranza proviene dalle pubblicità. Non si tratta forse di un uso limitato dell’immensa potenza di calcolo che questi programmi hanno? Non si potrebbe davvero pensare qualcosa di migliore? Per Bernard Stiegler (stiamo ancora parlando di lui) la risposta è sì.
Stiegler parte proprio dalle tesi di Derrida per il suo intero progetto ed egli ha persino chiamato il suo progetto di università phàrmakon.fr. Riattivare il senso terapeutico e benefico della tecnologia è lo scopo che egli si prefissa. In “Réenchanter le monde”, egli utilizza l’idea dell’incantamento per parlare di una prospettiva terapeutica circa il nostro mondo tecnologico.
«Proponiamo che in modo più generale (1) ogni tecnica sia considerata “farmocologica” nel senso di essere potenzialmente dannosa o benefica; (2) in assenza di una definizione di “terapia” — che i Greci chiamavano mélétè e épimeleia (disciplina, sollecitudine, cura), le quali presuppongono una tecnica del sé — un farmakon diventa necessariamente tossico. Proponiamo che, di conseguenza, una politica — che nel nostro tempo è necessariamente anche un’economia politica — sia prima di tutto e soprattutto un sistema di cura che consiste nello stabilire modi di vita (e una cultura) che sappiano come comportarsi con il dato stato farmacologico (tecnico e mnemotecnico). Una cultura è ciò che coltiva un attento rapporto con i pharmaka che compongono un mondo umano e che quindi lotta contro la loro sempre possibile tossicità».
L’affinità con Campagna non è solo nominale: i due pensatori condividono proprio l’idea di una ‘terapia’ filosofica da sviluppare come punto di partenza per uscire dalla stupidità e dall’alienazione che la tecnologia porta nel mondo. La farmacologia è una questione di cura sociale nei confronti dei danni e dei dolori portati dalle rotture tecnologiche. La metafisica Tecnica è un framework che riduce e disgrega il mondo ma la tecnologia da cui essa si dipana non deve per forza operare con questo fine. L’apertura di un’altra visione sul mondo, ‘magica’ deve ricostruire positivamente un rapporto con la tecnologia senza posizioni di principio ma anzi conscia di questa fondamentale equivocità. Solo volgendo lo sguardo alla tecnologia come ad un phàrmakon possiamo fare questo. Come si costruisce questo rapporto? Secondo quali punti si può articolare una terapia del genere? Per Stiegler la questione è complessa e si dipana attraverso politica, economia e psicoanalisi. Nel prossimo episodio continueremo ad esplorare il suo orizzonte concettuale per capire quali risorse ci fornisce. Grazie a chi ha letto fino a qui. A presto.