REINCANTAMENTO. Episodio 1. La Tecnica e la Magia, prima parte
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Sono loro, i Big Data, che pensano e amministrano coloro da cui hanno avuto origine. […] L’informazione non tende soltanto a sostituirsi alla conoscenza, ma al pensiero in genere, sollevandolo del peso di doversi continuamente elaborare e governare. [Roberto Calasso, L’innominabile attuale]
Ok, episodio 1 ma in realtà è il secondo. Bentornati alla rubrica sulla tecnologia che in realtà parla di filosofia. Partiamo con l’analisi del libro di Federico Campagna, filosofo italiano emigrato a Londra: ‘Tecnica e Magia’. Si tratta di un’opera ampia e ricca di spunti: le mie interpretazioni sono parziali ed è possibile trovarci molto di più e molto altro. Per questo è un libro che merita di essere consigliato, soprattutto a chi legge già filosofia.
L’opera di Campagna ci offre una visione metafisica di un problema al tempo stesso storico e tragicamente contemporaneo, la relazione uomo-tecnica. Nonostante l’astrattezza teorica del lavoro, si tratta in realtà di una riflessione utile e importante per articolare una nuova configurazione del futuro della tecnologia. Il valore “futuribile” di quest’opera è sottolineato sin dalla prefazione, affidata alle parole di un filosofo americano, Timothy Morton:
«Chi controlla il passato controlla il futuro, come si dice, e chi regola il passato tiene aperto ogni tipo di futuro, e più significativamente, tiene aperta la possibilità stessa di un futuro (diverso) in quanto tale: la futuribilità. Regolando chiropraticamente la spina dorsale dei pensieri che ci hanno portato fin qui, tutti i tipi di riflessione si aprono, e si comincia a sentirsi meno oppressi dal peso del passato, perché all’interno dell’incubo si sono trovate alcune chiavi per liberare il pensiero dalla sua implacabile intensità angosciosa. Immaginate ad esempio di poter guardare alle filosofie neoplatoniche e arabe per trovare qualche chiave magica per aprire le porte del futuro. Potrebbe essere molto più rinfrescante che riordinare i quadrati colorati sul mosaico della teoria contemporanea, che troppo spesso si traduce nel riordinare le sedie a sdraio sul Titanic della ragione cinica».
Morton descrive la paralisi che attanaglia tanta filosofia e teoria critica: le riflessioni prodotte da queste discipline sembrano essere intrappolate in un’opera di denuncia e di critica priva di sbocchi costruttivi. Descrizioni sempre più capillari della nostra alienazione, esplorazioni del nostro presente catastrofico forniscono patenti di “radicalità intellettuale” senza che però vengano fornite vie d’uscita di alcun tipo. È proprio una via d’uscita quella che Morton vede nell’opera di Campagna: un lavoro che ‘costruisce chiavi’, esplorando diverse tradizioni di pensiero (dalla Roma Imperiale alla Persia), capaci di aprire le porte di un diverso futuro. Vediamo in che modo.
‘Technic and Magic’ è un libro che si occupa di due sistemi metafisici. La ‘Technic’ (tecnica) del titolo è il nome che il pensatore italiano affida alla metafisica egemone ai nostri giorni, che regola il nostro modo di vedere il mondo. La prima parte del libro si occupa di descrivere criticamente il sistema vigente per proporre nella seconda metà un’alternativa, che porta il nome di ‘Magic’.
Partiamo dalla fondazione. Che cosa intende Campagna con il termine metafisica? La metafisica è l’assiomatica della realtà: «il luogo in cui si discute di cosa significhi esistere, di quali cose esistono legittimamente, di come esistono, in che relazione sono l’una con l’altra e con i loro attributi e così via».
Il livello metafisico stabilisce le condizioni di possibilità del reale e, di conseguenza, di ogni eventuale cambiamento: senza una (ri)definizione di questi parametri del reale è impossibile concepire nuove configurazioni socio-politiche. Campagna si interroga su quali assunzioni metafisiche siano necessarie per ‘giustificare’ le istituzioni del nostro tempo, quali credenze ontologiche supportino determinate forme economiche, quali forze del pensiero siano mobilitate nel nostro worldbuliding. Certi assiomi metafisici, interiorizzati come il destino dei nostri tempi, operano come un processo di creazione di uno specifico universo, che Campagna chiama “cosmogonia”. Il prodotto di questa cosmo-genesi non è la realtà in sé quanto uno specifico ordinamento, risultato di un atto di ordine sopra il caos. La struttura del sistema di realtà è descritta parlando di ipostasi — i vari livelli in cui il sistema si organizza — e di “incarnazione archetipa”, vale a dire «una figura del quotidiano che incarna le caratteristiche di un particolare livello».
Il registro linguistico di Campagna, che lo stesso autore definisce ‘mitologico’, non deve ingannarci sulla natura della ‘Tecnica’. Questo sistema di realtà è solo uno dei possibili framework con cui potremmo lavorare: si tratta perciò di una costruzione puramente contingente che vuole essere letta come necessaria. La chiave che offre Campagna ai suoi lettori stanchi e delusi si basa proprio sulla contingenza. Il valore politico della contingenza ha una lunga storia filosofica ed è riassunto precisamente da questo passo di “Realismo Capitalista” di Mark Fisher: «Una politica emancipatoria deve sempre distruggere l’apparenza di un “ordine naturale”, deve rivelare ciò che si presenta come necessario e inevitabile per essere una mera contingenza, così come deve far sembrare raggiungibile ciò che prima era ritenuto impossibile».
Fedele a quest’idea, Campagna fornisce la rappresentazione di un nuovo sistema contingenziale, la “Magia”, che si rivela speculare ed opposto a quello della Tecnica. Il filosofo propone un nuovo inquadramento del mondo in grado di fungere da terapia ai mali della storia.
Cerchiamo di comprendere meglio il senso politico ed emancipatorio (per dirla con Fisher) delle tesi di ‘Technic and Magic’. Ancora nell’introduzione, Campagna definisce l’opera «non un manuale per trasformare la sconfitta di oggi in un futuro trionfo, ma una voce a proposito di un passaggio nascosto nel campo di battaglia, che conduce ad una foresta nascosta lì dietro».
L’articolazione di una nuova metafisica non è un atto principalmente politico: si tratta, piuttosto, di un gesto che occupa l’intervallo — il prima e il dopo — di quella che definiamo politica vera e propria. Vedere le cose ‘con un altro occhio’ (elaborare una nuova metafisica) è il primo passo verso la generazione di un nuovo sistema di realtà dal quale discendono a cascata — vengono emanate, direbbe Campagna — mutazioni politiche e sociali, delle quali è così evidente il bisogno in questi giorni oscuri. Si tratta quindi di un atto propiziatorio, fondante, parte dello sforzo per una nuova società. Eppure, proprio perché i giorni sono già oscuri (e non da ieri), è evidente che l’elaborazione magica di un sistema di realtà alternativo sia anche un atto post-politico. Nel caso in cui ci trovassimo, dunque, nel worst case scenario — e tutto sembra suggerirlo — è evidente la necessità di vivere quanto meno una vita degna di questo nome, senza farsi trascinare dalla disperazione per la situazione storica in cui ci troviamo a vivere. Andiamo ora a vedere più nel dettaglio la struttura dei due sistemi di realtà di Campagna e in quale modo possano interessarci per parlare di tecnologia e futuro.
La Tecnica
La metafisica tecnica, già dal nome, ha un legame strutturale con le tecnologie di oggi e il loro proliferare nel nostro mondo. È questo sistema di realtà a definire le condizioni di possibilità dell’evoluzione tecnologica così come noi l’abbiamo conosciuta.
Il primo assioma della Tecnica è già paradossale: essa, pur strutturando il reale, causa una sua lenta disintegrazione, un indebolimento dell’esperienza esistenziale. Il senso di catastrofe che avvertiamo nella cultura contemporanea corrisponde alla perdita di senso del nostro mondo. Ma questa perdita di senso non è frutto di un passaggio da un paradigma all’altro quanto dalla stessa forza che plasma la nostra realtà: la Tecnica. Per parlare di Tecnica, Campagna si accosta ad alcuni pensatori dai tratti politici e filosofici ben precisi: Spengler, Junger, Heidegger per esempio.
La metafisica Tecnica viene quindi associata ad una visione del mondo come un insieme di risorse da sfruttare, di obiettivi da raggiungere, di misure da operare per trarre conclusioni operative. Prima di essere, il mondo deve funzionare, deve essere adatto ai nostri obiettivi. La Tecnica ci svela il mondo come un insieme di cose riducibili al loro valore strumentale: valore che verrà deciso dal suo ruolo all’interno di uno specifico apparato produttivo, che a sua volta è ridotto alle sue capacità di espansione, alla sua possibilità di crescere all’infinito. Campagna definisce invece come opposta alla propria la prospettiva di Gilbert Simondon, filosofo francese, che inquadra la questione tecnica in altri termini. Vedremo in seguito quanto il pensiero di Simondon, così come quello di altri francesi come Gilles Deleuze o Bernard Stiegler, possa invece meritare un’integrazione all’interno della prospettiva di ‘Technic and Magic’.
Tornando alla struttura della Tecnica, essa si fonda dunque su una assiologia strumentale: le cose esistono perché le cose ‘servono’. Possono essere dunque sfruttate, utilizzate, ma per che cosa? Campagna intuisce che per fondare una tale ontologia è necessario uno specifico concetto di causalità: le cose servono, funzionano perché producono qualcos’altro. A può produrre B, dunque A ha dignità di esistenza. La causalità è ridotta ad una funzione produttiva più che creativa, al riprodursi dell’esistente più che all’apparire di qualcosa di nuovo.
La produttività della Tecnica sottintende una assolutizzazione del Linguaggio. Il Linguaggio diventa il principio ontologico assoluto di questo sistema di realtà. La sua ontologia è un’ontologia posizionale, per cui gli enti sono definiti solo dalla loro posizione all’interno di una specifica serie. Come ci insegna la linguistica da De Saussure in poi (con qualche notevole eccezione), le parole hanno un valore contestuale più che essenziale. Il loro significato dipende dalla serie in cui sono immesse: le unità semantiche in sé hanno tutte un valore equivalente. La loro esistenza dipende dalla posizione che vanno ad occupare. Il carattere seriale permette alla serie di proliferare e di riprodursi infinitamente. È fondamentale per l’ontologia della Tecnica la nozione di misura. La misura è il «principio necessario che permette le posizioni e le unità seriali della grammatica della produzione. […] La nozione di misura consiste nell’atto originario di selezione (cutting up) del mondo, in una maniera tale da permetterne l’infinita ricombinazione». La misura è il centro geometrico del mondo della Tecnica, che ne permette la trasformazione nel suo mondo: agisce trasformando gli enti da cose uniche e irriducibili a una serie di unità equivalenti e sostituibili.
Proviamo a fare un esempio concreto. Pensiamo a quel processo che viene chiamato ‘datafication’ (il trend tecnologico di produzione dei dati), che potremmo anche definire come il divenire-dato del reale. La trasformazione di tutti gli aspetti della realtà — dalla salute alla finanza — in dati è fondata proprio sul potere onnipervasivo del linguaggio: cosa sono le immani quantità di dati e metadati accumulati ogni giorno dai dispositivi che ci circondano, se non stringhe di parole e numeri, immensi flussi linguistici che filtrano il nostro rapporto con il mondo in sé? La nozione di misura è centrale: il bit come “equivalente universale”, in grado di trasformare qualsiasi tipo di ente (immagini, musica etc.), secondo una onnivalente serie numerica di 0 e 1. Non dobbiamo dimenticare come la cultura dei dati sia il frutto di uno specifico modo di produzione: il capitalismo post-Fordista prospera in questa centralità del linguaggio. Per Campagna, il Fordismo era ancora impegnato a tradurre il mondo esterno secondo i suoi valori produttivi e linguistici; il post-Fordismo invece ha ormai completato questa “messa al linguaggio”, riducendo l’esterno alla sua dimensione. Il capitale contemporaneo vede nei Big Data, il “nuovo petrolio”, la frontiera da raggiungere per perseguire un continuo aumento di plusvalore. Nulla può evitare di essere datificato.
Come nota un recente articolo del Guardian: «Stiamo nuotando nella scrittura. Le nostre vite sono diventate un ‘testo elettronico». L’assolutismo del linguaggio influenza sia i critici sia gli apologeti della società dei dati. Nell’articolo del Guardian, per esempio, la struttura di un social network come Twitter viene individuata più nell’immenso testo prodotto dagli utenti e dalle loro interazioni, piuttosto che da quell’ assemblaggio di cavi a fibra ottica, server e sistemi di memoria che lo compone materialmente. Questo approccio ci sembra ambiguo perché accetta gli stessi presupposti dei fautori dell’economia immateriale. Un vero gesto critico dovrebbe evidenziare — come fa per esempio Benjamin Bratton in ‘The Stack’ — l’esistenza di un “ground” materiale di Internet, che è la sua assoluta condicio sine qua non. Senza le fabbriche di server io i cavi che attraversano l’oceano, i flussi linguistici perderebbero qualsiasi consistenza e “presa” sul mondo. Eppure, è parimenti vero, che mai come oggi, l’umanità ha circondato sé stessa nella scrittura: individui che in altre epoche difficilmente avrebbero preso una penna in mano, oggi si ritrovano a postare compulsivamente facendo di sé stessi degli scrittori amatoriali.
Inoltre, il riduzionismo linguistico è la filosofia di molti studiosi di data sciences o profeti dell’Intelligenza Artificiale. Il loro assunto ontologico di base è che il linguaggio della scienza informatica — il codice binario — possa cogliere l’interezza dell’esistente. Essi pensano che l’esistente sia davvero riducibile ad una stringa di codice, senza comprendere che questa tecnica, per quanto innegabilmente funzionale e utile a certi scopi, altro non è che uno dei modi in cui comprendere, cogliere il mondo. Proprio per questo motivo, secondo Campagna, il totalitarismo linguistico della Tecnica finisce per disgregare il mondo, piegandolo alla nostra categorizzazione. Il “pensiero computazionale” interpreta il mondo come un computer, uniformando il molteplice reale a una prospettiva univoca e finendo per distruggere tutte le altre dimensioni che lo compongono.
Nella metafisica Tecnica è custodita la volontà politica che ha permesso a questo sviluppo tecnologico di ottenere il predominio del mondo. Infatti, la dimensione numerica della Tecnica ha un suo telos nella continua espansione dei suoi limiti, nell’aumento costante di produttività, di riuscita, di capacità. La Tecnica è la metafisica del tardo capitalismo, altamente finanziarizzato e informatizzato. I Big Data non sono altro che una valorizzazione totale della realtà, la quale, spremuta fino all’ultimo bit, viene depositata e rielaborata per generare nuovi profitti. Come già notavano nel 1972 Gilles Deleuze e Felix Guattari ne loro ‘L’Anti Edipo’: «Questo reticolo gettato sulla produzione da parte dell’informazione manifesta una volta di più che l’essenza produttiva del capitalismo non funziona e non “parla” se non nel linguaggio dei segni che le vengono imposti dal capitale commerciale o dall’assiomatica del mercato».
È nella produzione che la Tecnica trova il suo centro di gravità permanente, riempiendo il vuoto di realtà con la presenza trasversale del lavoro. Non è un caso, che prima di ‘Technic and Magic’, Federico Campagna abbia scritto un’opera contro l’ideologia del lavoro (ci riferiamo a ‘The Last Night: antiwork, atheism, adventure’): a posteriori, possiamo leggerla come compatibile e integrativa rispetto all’imponente architettura della metafisica Tecnica.
Solleviamo infine un ultimo punto. Parlando di Tecnica, Campagna accenna al ruolo dei mercati finanziari in questa disgregazione del reale: «possiamo comprendere il ruolo giocato dal capitalismo finanziario, non meramente come una traduzione del mondo secondo la propria struttura linguistica, ma come creatore di un mondo che coincide esattamente con questa struttura». Quanto detto finora sui dati, vale ugualmente per la finanza, il divenire-immateriale dell’economia. Potremmo individuare un altro archetipo della Tecnica proprio in quegli algoritmi finanziari, capaci di decidere in frazione di secondo e di spostare grandi capitali senza alcuna agency umana. La scomparsa dell’umano dalla gestione dei grandi mercati azionari, quella che Alexandre Laumonier ha definito ‘la rivolta delle macchine’, può essere vista come un’anticipazione del futuro che sogna la Tecnica.
Il nostro compito è di costruire un’alternativa a questo futuro oscuro e il primo passo è proprio la costruzione di un sistema di realtà, in cui diverse alternative sbocceranno. Vedremo nel prossimo episodio cosa suggerisce Campagna nel suo libro. Non fatevi demoralizzare da questa doccia di ottimismo.