Il talento alieno di Young Thug
Young Thug è un genio musicale, la cui influenza sul rap degli ultimi anni è innegabile. Il suo vestiario eccentrico e fluido, il suo uso unico dell’autotune, il flow schizofrenico e balbettante sono solo alcuni dei fattori che hanno reso Thugga un iconoclasta dell’hip hop, spesso attirando le ire dei puristi di mezzo mondo.
Ma per quanti haters abbia generato, altrettanti artisti sono stati ispirati da lui: Lil Uzi Vert, Gunna solo per nominarne alcuni. E anche l’intera scena trap del nostro paese ha sempre ammesso un debito nei suoi confronti.
Eppure, commercialmente parlando, Thugger non ha mai ottenuto il riscontro che merita. Anzi, gli ultimi anni della sua carriera possono apparire, ai più disattenti, deludenti tanto che il rapper sembrava aver adottato un profilo più basso dedicandosi alla sua linea di moda e alla sua etichetta, la Young Slime Records.
Ora, le cose sono cambiate. Con questo So Much Fun, 19 tracce di vorticosa creatività, il rapper di Atlanta alza la voce per reclamare i riflettori che merita. Il progetto contiene molti featuring, dagli accoliti Lil Baby a Lil Keed, a leggende come Future e J. Cole benché il focus resti sempre il talento multiforme del protagonista.
Rispetto ai primi progetti, Thug ricerca un suono meno sperimentale, più adatto alle classifiche che infatti lo hanno premiato con il suo primo #1 nelle classifiche Billboard.
Ciò nonostante, Young Thug resta il “solito” alieno e il suo sound una scarica elettrica ancora impareggiata da tutti gli imitatori. In “Cartier Gucci Scarf” alterna un flow baritonale nella strofa ad acuti eterei nel ritornello mentre “Surf” potrebbe far parte della colonna sonora di un nuovo film dei Looney Tunes, beat colorato e sporche esilaranti.
Ascoltando So Much Fun, si ha la sensazione che l’artista 28enne non si accontenti facilmente e cerchi sempre di spingere in avanti i confini di quello che definiamo rap. Il suo bagliore extraterrestre che ci proietta verso nuove galassie. E allora, come dei novelli Murder e Scully, non possiamo che dichiarare a bocca aperta: I want to believe.
Questo articolo è apparso originariamente su Boh Magazine.