Dissezionando l’accelerazionismo: Ray Brassier su Nick Land

Alessandro Y. Longo
14 min readApr 8, 2018

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Presentiamo qui un bilancio di Ray Brassier sul pensiero di Nick Land. Il testo è la traduzione di una registrazione del discorso di Brassier, pronunciato il 14 Settembre 2010 in occasione della conferenza “Accelerationism” alla Goldsmith University of London. La presentazione che fa Brassier del pensiero landiano è, a nostro parere, doppiamente utile: in primis perché espone con chiarezza alcuni dei nodi centrali del pensiero di Land, che spesso è presentato in testi di theory-fiction o in scritti sperimentali, risultando quindi non di facile comprensione nei suoi nuclei concettuali. Inoltre Brassier non riserva critiche e perplessità nei confronti del collega e ci mostra come le tendenze più “mortifere” della sua filosofia debbano essere problematizzate. Per altri approfondimenti su Land non possiamo che rimandare all’eccezionale lavoro fatto su Prismo e su LoSguardo. La traduzione è originale e poco fedele alla trascrizione per cercare di dare un ordine più chiaro al testo. Mi scuso per eventuali errori e per i terribili neologismi. La trascrizione originale su cui mi sono basato è questa ma lo speech è disponibile anche su Youtube a questo link. Ray Brassier è un filosofo inglese che insegna alla American University di Beirut. È conosciuto per essere uno degli esponenti principali del movimento del Realismo Speculativo, corrente di pensiero che propone di ritornare al realismo ma senza rinunciare a una speculazione emancipatoria. Il suo principale lavoro è Nihil Unbound: Enlightenment and Extinction (London: Palgrave Macmillan, 2007). Nick Land è un filosofo inglese, conosciuto per il suo lavoro negli anni ’90 e ’00. E’ stato il fondatore della CCRU, gruppo di ricerca interdisciplinare eretico che aveva sede a Warwick. E’ comunemente considerato il “padre dell’accelerazionismo” e Mark Fisher lo ha definito “il nostro Nietzsche”.

Parlerò del lavoro di Nick Land. Ne parlerò filosoficamente perché reputo che questa sia una chiave per comprenderne le implicazioni politiche. Se vogliamo comprendere se delle politiche “accelerazioniste” siano possibili o fattibili è necessario confrontarsi con l’architettura concettuale interna del programma accelerazionista. Molti di noi infatti sono stati influenzati dal lavoro di Land in un modo o nell’altro. Una volta ho avuto una conversazione con lui: abbiamo iniziato a discutere perché Nick insisteva nel dire che continuavo a tradurre in questioni concettuali quelle che lui considerava questioni pragmatiche, questioni di ciò che lui chiamava “ machinic pratic”, pratica macchinica. Mi ha accusato di conservatorismo filosofico, proprio perché insistevo riportare in un campo teorico quello che per lui era pratico. Ma anche qui voglio insistere sul fatto che questo sia necessario, perché questo “ machinic pratic”, questa pratica macchinica su cui insisteva Land conduce paradossalmente proprio a una impotenza nella praxis.

Dunque, voglio insistere sulla necessità di confrontarci con le sue fondamentali questioni concettuali, prima di capire davvero cosa Land stia facendo. E a questo proposito non mi voglio affidare alla retorica sul bisogno di abbandonare il reame della rappresentazione. Penso che cercando di andare oltre la rappresentazione concettuali si finisca col generare contraddizioni performative e non soltanto teoretiche. Le contraddizioni a livello dei concetti si manifestano nell’incapacità pratica. Per questo seguirò un metodo dialettico, schematizzando il lavoro di Nick in 3 espliciti contrasti concettuali. E sebbene il “Pragmatismo Macchinico” di Land insista proprio sulla necessita di tralasciare ogni tipo di opposizione dialettica, penso al contrario che sia necessario muoversi così per mostrare i punti di forza e di debolezza di questo programma filosofico. I tre punti, o meglio le tre coppie, su cui mi voglio concentrare sono: critica e materialismo, teleologia e escatologia, praticismo e volontarismo.

Ma permettetemi prima una breve digressione: Io e Robin Mackai stiamo editando un volume di scritti di Land, chiamato Fanged Noumena. Questi testi sono davvero straordinari. Come ha detto Mark (Fisher ndt), non importa quanto uno detesti il suo spirito retorico, non si può semplicemente liquidare Land come un vizioso e puerile filosofo iper-nietzscheano. È molto più sofisticato di così, e anche se penso che sia spesso intralciato da incoerenze varie, questi rimangono testi straordinari: leggendoli ci troviamo davanti alla flaccida inutilità del vitalismo bergsoniano contemporaneo. Il filosofo francese Vincent Descombes una volta descrisse “ L’anti Edipo” di Deleuze e Guattari e “ Economia Libidinale” di Lyotard come manifestazioni di un “hegelismo folle e oscuro”. Allo stesso modo il lavoro di Land è un “ deleuzismo folle e oscuro”, un tentativo di trasformare l’impeto vitalista di Deleueze, l’ élan (lo slancio) affermativo che anima il corpus deleuzeguattariano, in qualcosa di chiaramente disgustoso ma anche molto più concettualmente liberatorio.

Ciò che, a mio parere, è davvero interessante in questi testi è il modo fenomenale in cui viene rielaborata la NEGATIVITA’ ed è questa furia sublimata che sprizzano a renderli così potenti. E proprio perché io sono interessato a mostrare come sia possibile riabilitare i poteri del negativo, contro quello che Ben Noys ha chiamato “ consenso affermativista “ nella teoria contemporanea, trovo questa momento del lavoro di Land dannatamente interessante. Ma nonostante questo cercherò di mostrare in seguito perché reputo anche che Nick non riesca fino in fondo ad avere a che fare con una forma negativa senza subordinarla a un certo affermativismo.

Cerchiamo di proseguire con ordine.

Prima di tutto Land sta operando sotto l’egida del lavoro di Deleuze e Guattari. Propone di radicalizzare la critica, di convertire la condizione ideale della rappresentazione della materia nella condizione materiale della rappresentazione ideale. Nell’apparato landiano la materialità è costruita solamente come la produzione della produzione. Il materialismo trascendentale nella sua versione landiana diventa la materializzazione della critica. La critica della critica kantiana alla metafisica, sviluppata in diverse versioni nella filosofia continentale del XX secolo, è qui trasformata in una metafisica materialista della critica, che fa collassare l’intera gerarchia del trascendentale e dell’empirico. La prima mossa, la mossa davvero interessante e anzi la chiave per comprendere il concetto deleuzoguattariano di destratificazione nel landismo, è questa: la prima cosa che deve essere destratificata è la stessa differenza empirico — trascendentale. Questa è condizione che permette la filosofia critica. Ma non è più un superamento hegeliano o dialettico di questa differenza. È appunto non — dialettico. È una riduzione della differenza alla materia perché il pensiero è solo una funzione della materialità e il pensiero rappresentazionale, la categorizzazione concettuale e persino la stessa logica della dialettica sono semplicemente una versione circoscritta o depotenziata della potenza generata dalla materia stessa. L’affermazione di Land è che la materia stessa sia sintetica e produttiva. La materia è il processo primario e tutto quello che si dispiega al livello della rappresentazione concettuale è meramente secondario e derivativo. La sintesi è primaria e produttiva e ogni sintesi è l’unione di termini eterogenei.

E ciò che Nick propone di mantenere di Kant è soprattutto l’enfasi sull’efficacia trascendentale della sintesi, il primato della sintesi trascendentale ma non più considerata come una sintesi di oggetti empirici, di oggetti dell’esperienza ben ancorati nel soggetto costituente. Per Land si tratta della potenza auto-sintetica di quella che lui chiama materialità intensiva (ad alta intensità). Questa diventa la parola chiave. Ed è una spiegazione brillante dell’operazione concettuale che gli stessi Deleuze e Guattari compiono confrontandosi col kantismo nell’Anti Edipo. La materia non è nulla se non produzione macchinica, auto differenziazione, e la binarietà fondamentale che organizza questa metafisica materialista è quella tra la materialità intensiva, identificata con il corpo senza organi, e la morte, questo momento di assoluta indifferenza come assoluta differenza. Land è abbasta esplicito qui nel collegarsi a una certa versione della filosofia schellinghiana e a legare proprio Schelling con Deleuze e Guattari.

L’alternativa si pone tra la cosiddetta “intensità zero” come materia (materia a intensità zero?) e ogni tipo di concettualità binaria tra i concetti e gli oggetti, o tra il rappresentante e il rappresentato: l’affermazione di Land è che livellando questo fondamentale dualismo, il dualismo della forma trascendentale e del contenuto empirico, si arrivi a questo monismo materialista dove è spiegato come la materia stessa genera la sua rappresentazione. E in questo modo la rappresentazione stessa è relegata allo status di illusione trascendentale. È un occultamento dei processi primari, è meramente al livello dei processi secondari.

Ma questa critica materialista della critica trascendentale riproduce a mio parere il problema cruciale della connessione tra il pensiero e la realtà. Perché? Perché il problema ora è diventato il seguente: come puoi semplicemente ignorare la rappresentazione e parlare della materia stessa come processo primario, della realtà in sé? Questo processo, che è ovviamente il problema di base della critica kantiana, riemerge in una forma esacerbata in questa sovversione materialistica del kantismo. Ed è un punto particolarmente delicato, e qui è dove la cancellazione che Land compie della componente bergsoniana del pensiero di Deleuze inizia a diventare strana e a generargli difficoltà. Perché? Per molti versi si può allineare la critica deleuziana della rappresentazione alla stessa critica bergsoniana. Molto di quanto Deleuze considera problematico delle categorie di rappresentazione, delle rappresentazioni come strutture concettuali che segmentano e parcellano il mondo, il fusso della durata diviso in oggetti discreti e individuabili proviene dalla filosofia di Bergson. La critica bergsoniana alla metafisica e la destituzione della rappresentazione permettono di intuire le vere differenze nell’essere, la natura reale della materia cioè il tempo, chiamato “ durata” dal filosofo francese. Ma Land ha esplicitamente escluso questa componente dalla sua interpretazione di Deleuze. Nick ha sì soppiantato la rappresentazione ma vuole anche soppiantare questo tipo di fenomenologia vitalistica e bergsoniana per quello che potremmo chiamare thanatropismo, un vero e proprio movimento di morte inconscio. Ma di nuovo: come si accede a questo inconscio macchinico? Non ci è semplicemente dato. Land insiste più e più volte su come nulla ci sia mai dato, tutto sia prodotto. Il problema è che la liquidazione materialistica della rappresentazione, siccome presumibilmente non vuole riaffermare il primato dell’esperienza sotto — rappresentazionale e dell’intuizione (come fanno in vari modi Bergson e la fenomenologia), deve essere definita meglio, deve dirci di cosa sta parlando. Nick sta facendo un certo tipo di metafisica materialistica ma c’è un problema su quale tipo di trazione questo apparato concettuale straordinariamente sofisticato possa ottenere grazie a questo processo di produzione primaria, del reale come differenza intensiva, della materia in sé, in qualsiasi modo insomma lo si voglia chiamare.

Questa è una difficoltà filosofica iniziale che curiosamente Land stesso nelle varie conversazioni cerca di ignorare dicendo “ beh, devi capire che il pensiero stesso non riguarda più una congruenza rappresentazionale tra i concetti e gli oggetti, tra le idee e le cose, ma è esso stesso un processo produttivo”. La discussione della mappatura macchinica opposta al ricalco rappresentazionale è presente nel primo plateau di “Mille Piani” in cui Deleuze e Guattari dichiarano che la schizoanalisi, o rizomatica, o come la si voglia chiamare, è essa stessa una prassi, un fare. C’è un certo loop a feedback positivo tra ciò a cui stai pensando e il tuo pensiero. Così la pratica concettuale non consiste più nel rintracciare strutture intelligibili da una realtà pre-esistente e già pronta, ma è un rintracciare movimenti e tendenze nei processi materiali. Ed è per ciò che questa tesi diventa auto-giustificante. La questione allora va espressa in termini di intensificazione. Non è più un problema epistemologico sulla legittimità o la validità del tuo pensiero di fronte a una presunta realtà indipendente, ma è semplicemente una questione di come la tua pratica schizoanalitica accentui o intensifichi la produzione primaria o al contrario la rimandi e la inibisca. La verità o la falsità diventano subordinate alla coppia intensificazione — deintensificazione. Ed è proprio questo il nodo concettuale che viene tradotto in un registro politico. Un materialista macchinico si dovrà chiedere come sta agendo rispetto al processo di produzione primaria, tutte le sue pratiche vengono governate dall’imperativo di intensificare e accelerare e di demolire senza pietà ogni ostacolo che minacci di rimandare o inibire questo.

Penso che qui ci sia un problema: il concetto di intensità diventa fatalmente equivocabile in questo registro. Anche Bergson parla di differenze intensive come differenze qualitative dell’esperienza della durata. Quando Bergson parla di intensità, intende una differenza nella qualità che non può mai essere ricondotta alla magnitudine o all’estensione. Ma questa esperienza dell’intensità ha un correlato fenomenologico! Allora il vitalismo concerne “soltanto” avere esperienze intense. Ma il landismo non può avvalersi di questo registro di intensificazione perché non è interessato alla soggettività fenomenologica e alle esperienze come esperienze di un soggetto, di un organismo, con un volto e una identità personale etc. Queste sono tutte cose che dovrebbero richiedere una destratificazione. L’idea per cui Land si può sbarazzare di ogni legittimazione epistemologica per la sua metafisica, poiché essa rifiuta i criteri di vero e falso, perché riguarda solo l’intensificazione del processo primario è profondamente incoerente, perché la materia stessa come produzione primaria, o morte, non è traducibile in nessun registro di esperienza affettiva. Per questo considero una mossa poco convincente questa tesi dell’intensificazione continua.

Ma sorge qui un secondo problema: Land fa riemergere un certo tipo di obbligo ad affermare. Nel mappare il processo dei movimenti di deterritorializzazione e di parziale riterritorializzazione, si sta analizzando l’attività stessa del processo primario, ma questa “mappatura” è impilata tra gli strati, essa stessa occupa una posizione immanente rispetto a questi processi materiali; non esiste più l’esteriorità trascendentale tra la teoria e il mondo. La teoria stessa è implicata nella realtà che descrive. Da qui in poi le cose cominciano a farsi meno chiare.

Di fatto Land ha elaborato una escatologia materialistica. Perché continuare a intensificare? Perché c’è sempre un surplus di stratificazione. Non ci sarebbe bisogno di deterritorializare e destratificare se non ci fosse sempre un nuovo supplemento di reterritorializzazione e di restratificazione. C’è bisogno di deterritorializzare solo perché ci sono gli strata. Viene da chiedersi allora perché ci sia, in primo luogo, la stratificazione? A mio parere, qui si nasconde un dualismo organizzatore. Anche se il reale in sé è assolutamente deterritorializzato, il grado zero di intensità assoluta è sempre differenziato e stratificato, sedimentato in molti modi complessi ed è il rapporto tra il reale e l’intensità che da vita a questo processo.

Ma una volta che il pensiero stesso è diventato subordinato all’imperativo di intensificare e destratificare, è chiaro che ci debba essere un punto di assoluta deterritorializzazione verso qui il processo di affermazione (o accelerazione) tende. Se stai accelerando, ci sono sì vincoli materiali che agiscono sulla tua capacità di accelerare ma ci deve essere, ad un certo punto, anche un limite trascendentale alla velocità. Il limite ultimo è la morte, o la schizofrenia cosmica. E per Land non è affatto un limite. Questo è l’orizzonte ultimo del suo pensiero. Il filosofo inglese supporta sguaiatamente questa notevole tesi presente nell’Anti — Edipo ma la priva di ogni tipo di cautela, circa il modo in cui si possano generare nuove forme di esistenza creativa etc. Per lui: “alla fine del processo c’è la morte”. Tutto qui. Uno dei paper di Nick è intitolato “Making It With Death” (letteralmente: Farlo con la Morte), un titolo senza dubbio brillante ma anche rivelatorio. Da quanto detto fin qui risulta infatti che la morte sia intrinsecamente produttiva, che essa sia il motore, il modo dell’anti-produzione che genera tutta la produzione, la produzione della produzione. Qui siamo ben oltre Freud e il suo “Al di là del principio di piacere”, dove la vita stessa e tutte le differenze vitali sono deviazioni unilaterali dalla morte intensiva. Per Land si può avere un momento di convergenza con l’intensità assoluta, o l’assoluta deterritorializzazione. E cos’è questo punto? Chi ne sarebbe il messaggero? Quale “mezzo” continuerebbe a esistere per essere il latore di questa accelerazione tanatropica? Certamente non la specie umana. Tutta la storia terrestre è la storia di un’intensifcazione, l’organizzazione sociale e gli sviluppi di una società capitalistica tecnologicamente avanzata non sarebbero che una fase del processo. La continuazione o l’intensificazione dei processi richiedono chiaramente l’eliminazione dell’umanità come substrato del processo. La domanda dunque è di nuovo: sotto quali condizioni tutto questo? Qui penso sorga una contraddizione concettuale cruciale: come puoi continuare a intensificare laddove non ci sia più rimasto nulla da intensificare? Se le tue pratiche schizoanalitiche sono mosse dal bisogno di intensificare e deterritorializzare sempre si arriva ad un punto in cui non resta più nessuna agency, nessun ente che agisca: lo stesso “sé” viene dissolto nel processo. Una volta che la produzione secondaria è stata reintegrata nella produzione primaria, ironicamente si è arrivati a una bizzarra copia del serpente della conoscenza assoluta, soltanto che questa volta, è il serpente della produzione assoluta.

Il punto è che soggetti umani individuabili organicamente non possono posizionarsi di fronte ai circuiti del processo. Nick Land ci sta dicendo: “sta succedendo lo stesso senza di te. Non c’è bisogno di te”. Lo stesso concetto di agency è dissolto. Il filosofo lo ha scritto esplicitamente: “sta succedendo comunque e non c’è nulla che tu possa farci”. Qualcosa sta lavorando attraverso di te, non puoi farci nulla, quindi potresti benissimo fondertici. Questo è un problema filosofico. È una ritenzione dell’idea romantica e schopenahueriana di una fusione tra il personale e l’impersonale, tra il soggetto individuato e una schizofrenia cosmica, l’impersonale processo primario. Ma per Schopenhauer tutto questo ha ancora senso: la rivolta della volontà contro sé stessa è la base della sua filosofia etica. Ma per Land, non c’è più alcun tipo di fulcro per questa regressione, per la conversione dal processo secondario a quello primario, perché non rimangono più messaggeri individuabili. Questa convergenza non si svela al livello dell’esperienza. In questo ambito l’intero vocabolario dell’intensificazione / deintensificazione diventa ridondante. Il paradosso è semplicemente il seguente: sotto quali condizioni si può volere l’impossibilità del volere? Come si può affermare ciò che inibisce tutte le affermazioni? C’è un nodo concettuale pregno di interessanti conseguenze pratiche e politiche.

E penso che qui si spieghi la traiettoria politica di Nick, da un certo tipo di anarchismo di ultra-sinistra alla deriva neo-reazioanaria. In un passo dello scritto “ Kant, Capital and the Prohibition of Incest: a polemical introduction to the configuration of philosophy and modernity” Land dice: “ l’apparato statale di una società industrial avanzata non può essere sconfitto senza la volontà di inasprire il ciclo della violenza senza limiti”. Curiosamente, in questo scritto, i soggetti rivoluzionari sono individuati in gruppi femministi di guerriglia radicale. E da quel momento, in cui Land rientra ancora in una filosofia “radicale”, in cui la sua critica alla sinistra marxista non è ancora abbastanza critica, si passa nell’arco di 5 o 6 anni alla affermazione che non c’è più possibilità di un’intensificazione rivoluzionaria. E allora la politica va abbandonata, va delegata e ci si può solo limitare a supportare o affermare processi impersonali, che però almeno ci concedono la speranza di generare e di accedere alla prossima fase della deterritorializzazione.

Cosa significa questo? Significa supportare il libero mercato, la deregolamentazione, la desacralizzazione capitalista delle forme tradizionali di organizzazione sociale etc. Perché? Non certamente perché si pensa che esse promuovano la democrazia individuale o la libertà. Ma Land deve strumentalizzare il neoliberismo in nome di qualcosa di apparentemente molto più oscuro e più potenzialmente corrosivo, in un processo in cui ci ritroviamo… se il nemico del tuo nemico è tuo amico, allora si arriva a un punto pericoloso dove ci si dimentica delle condizioni sotto cui si è stretta questa alleanza strategica, perché banalmente non vedi più il tuo obbiettivo. E allora inizi a supportare e promuovere un certo tipo di politiche neoliberiste o di ideologie e velocemente la pretesa di una “distanza strumentale”, di una scaltra “ragione schizofrenica”, viene velocemente a evaporare perché non risulta più possibile dissociare la prassi dai tuoi supposti obbiettivi. In altre parole, una volta dissociate le tattiche e la strategia (e mi richiamo qui ala famosa distinzione tra la strategia, teleologica e trascendente e rappresentazionale, e le tattiche, immanenti e macchiniche), una volta che quest’ultima viene a mancare, qualcuno con una strategia diversa comanderà a breve le tue tattiche. Qualcuno che sa cosa vuole realizzare inizierà a sfruttarti. Si finisce per diventare la pedina di un altro tipo di forza impersonale, non più l’affasciante e seduttiva pulsione con cui speravi di allearti, ma la vecchia cinica ragione del capitalismo libertario.

Originally published at http://fuoritestoblog.wordpress.com on April 8, 2018.

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Alessandro Y. Longo
Alessandro Y. Longo

Written by Alessandro Y. Longo

Digital Humanist, wannabe tech critician, working for re-enchanting the world

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